ANSIA IN METAFORA

L’ansia o l’angoscia vengono spesso descritte attraverso la percezione di trovarsi in situazioni in cui ci si sente in trappola, bloccati senza possibilità di movimento, o completamente sperduti, senza punti di riferimento e senza direzione.

È una situazione di allarme in cui si vorrebbe poter fare qualcosa ma si sente di non averne la possibilità, le risorse, gli strumenti. È come essere soverchiati da qualcosa di più grande di noi, qualcosa contro cui non possiamo niente, nonostante il nostro sforzo di contrapporci ad esso. C’è una ricerca disperata di un modo per uscirne, per vedere la luce, ma questo sforzo non trova possibilità di realizzarsi, lasciando la persona in uno stato di agitazione, senza apparente ragione e senza
via di scampo.

Spesso questo vissuto è connesso alla sensazione di essere in pericolo: in gioco c’è la nostra vita, la nostra possibilità di sopravvivenza.

ansia
"Mi sento in un tunnel nero, senza via di uscita"
ansia
“Mi sento come un piccolo uomo in mezzo alla tempesta"
ansia
"É come se fossi dietro una finestra che però non posso aprire in nessun modo, è bloccata completamente... è proprio la sensazione di essere in gabbia, non posso scappare"

DEPRESSIONE IN METAFORA

La depressione spesso viene descritta dalle persone come qualcosa che ci ferma, che blocca il movimento. Qualcosa che ci impedisce di trovare la forza di rimetterci in piedi e di continuare a camminare, che ci affossa e ci appesantisce. Qualcosa che toglie ogni speranza, un peso troppo grande per poter essere spostato.

La depressione non è tanto qualcosa di esterno a noi, non è qualcosa che ci si infila dentro e non ci lascia liberi. È piuttosto un nostro modo di reagire a una situazione che viviamo come pesante, inaffrontabile, non modificabile, qualcosa di fronte a cui l’unica scelta sembra abbandonare le armi, smettere di camminare, lasciarsi affondare. È l’impossibilità di vedere un’alternativa, una via di uscita, un senso.

È come chiudere la porta a tutte le sensazioni ed emozioni, perchè sarebbero troppo impegnative da gestire – ma insieme alle emozioni negative, spesso si chiude la porta anche alla possibilità di provare emozioni positive. È una rinuncia a tutto, per proteggersi dalla possibilità che ciò che arriva ci possa fare troppo male.

depressione
"Mi sento incagliato"
“Prima mi sentivo un combattente, ora mi sento inerme, non più pronto a combattere nessuna battaglia”
"Mi sento accartocciata su me stessa"
"La tristezza d’animo, il sentirmi sconfortata del tutto. Come se fossi buttata nel mare con un peso al piede”

LO PSICOLOGO DÀ CONSIGLI?

Scienziato non è colui che sa dare le vere risposte, ma colui che sa porre le giuste domande. (L. Strauss)

Io penso che il senso del lavoro di uno psicologo – che rende la stanza di terapia uno spazio diverso da tanti altri – non sia dare consigli ma aprire nuove domande. Ricevere consigli è qualcosa che fa già parte della nostra esperienza quotidiana e tante volte ne siamo anche infastiditi. Ma perché? Perché un consiglio parte dall’esperienza personale di chi lo dà, parte dalle sue premesse, da ciò che per quella persona ha più senso, parte da ciò che per quella persona è più utile – ciò di cui non tiene conto un consiglio, spesso, è della persona che lo riceve. Un consiglio non si chiede cosa sia utile per quella persona, cosa abbia senso per quella persona. E forse ancora prima, non si chiede se quella persona lo voglia davvero quel consiglio. E se non lo volesse, cos’altro potrebbe volere? Di cosa potrebbe avere più bisogno?

Per rispondere a queste domande una cosa utile è uscire dalla propria prospettiva – per provare a comprendere quella dell’altra persona. Non partire da ciò che noi pensiamo sia successo a quella persona,
da ciò che noi pensiamo che quella persona dovrebbe fare per uscire da una determinata situazione sulla base di ciò che funziona per noi, da ciò che noi pensiamo che lei voglia.

Partire piuttosto da domande che la riguardano. Chi è quella persona? Come vede lei la sua situazione? Perché lei pensa di essere in quella situazione? E cosa per lei potrebbe essere più utile? E cosa possiamo fare noi considerato tutto questo?

Forse è proprio il fare domande che, anche per quella persona, può aprire nuove prospettive. Nuove domande generano nuove riflessioni e – potenzialmente – nuove risposte. Una buona domanda può farci chiedere qualcosa che non ci eravamo mai chiesti prima e darci nuovi sguardi.

Un consiglio chiude, impone, prescrive, appiccica prepotentemente qualcosa sulla persona che lo riceve –
senza tenere conto di lei. Una domanda lascia a quella persona la possibilità di guardarsi, di sostare, di riflettere – e di scegliere quello che, momento per momento, ha più senso per sé.