In terapia molto spesso le persone esprimono un concetto attraverso un’immagine, perché permette loro di renderlo più vivo, più dinamico, più vicino alla loro esperienza.
Di recente una persona ha descritto le relazioni umane come “tante cordicelle, io tiro un po’ qua, tu tiri un po’ là”.
A me fa pensare a come in ogni relazione entrino due o più persone, ciascuna con il proprio modo di sentire, vedere, pensare e – di conseguenza – di relazionarsi. E in questa relazione è come se ognuno avesse in mano tante corde – alcune arrivano all’altro, alcune gli sfuggono di mano, altre si incastrano sul polso, altre si sfilacciano o si rompono, in un continuo tentativo di comunicare, di capirsi, di incontrarsi.
A volte riusciamo a vedere solo il nostro estremo della corda e facciamo fatica o non siamo disposti a capire cosa succede all’altro capo se lo tiriamo verso di noi. Altre volte guardiamo solo all’estremo che ha in mano l’altra persona e ci dimentichiamo del risvolto che ha su di noi se quella persona lo tira verso di sé.
La maggior parte delle volte è un gioco di equilibrio, tra il tirare e il lasciar andare, tra il tendere e il mollare, tra il fare nodi e fare tagli – un equilibrio che ci permetta di esserci, senza dimenticarci dell’altro, e che permetta all’altro di esistere, senza dimenticarci di noi.
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PIANGERE
Piangere non è mai solo una questione di lacrime. Piangere è un’espressione di sé, di qualcosa che proviamo dentro – di qualcosa che ci divora, che ci logora, che ci spegne, che ci svuota, che ci infuoca, che ci commuove.
Piangere non è la stessa cosa per tutti. La possibilità di piangere è qualcosa che si riempie dei nostri significati: quanto sento di potermi aprire all’altro? Quanto posso fidarmi? L’altro è qualcuno che mi accetterà o qualcuno che mi rifiuterà? Verrò ascoltato o rimarrò solo? Se piango sono una persona forte o sono debole? L’altro mi accoglierà o mi metterà i piedi in testa?
Piangere non è solo un atto naturale e spontaneo – siamo noi che scegliamo se, quando e quanto aprire i rubinetti. Perché aprire i rubinetti significa far uscire qualcosa di noi, qualcosa di intimo e delicato – e questo è qualcosa che spesso desideriamo ardentemente e che allo stesso tempo ci spaventa profondamente.