PORTARE UNA “MASCHERA”

Cosa significa portare una maschera?

La maschera è qualcosa che prescinde da noi – come se fosse un oggetto esterno – che indossiamo per nascondere ciò che siamo davvero o è solo uno dei tanti modi di essere che ci caratterizzano? Una maschera ci nasconde agli occhi degli altri o in qualche modo mostra qualcosa di noi?

Credo che tutto stia nei presupposti da cui si sceglie di partire.

Se crediamo di essere delle persone con delle caratteristiche stabili e durevoli nel tempo, che tutto sommato non cambiano eccessivamente man mano che crescono o nelle varie situazioni che incontrano, probabilmente sentiremo di indossare una maschera quando – in una situazione particolare – la nostra percezione sarà quella di non comportarci in modo coerente con l’idea che abbiamo di noi stessi. Se invece prendiamo in considerazione la possibilità di avere tante sfaccettature diverse, in diverse situazioni, relazioni e tempi, e accettiamo che non possiamo definirci in modo stabile e quindi ci permettiamo di essere “incoerenti”, allora forse indossare una maschera non significherà più nascondere ciò che siamo davvero agli occhi degli altri ma ogni “maschera” sarà il nostro miglior modo per stare in una determinato contesto o momento di vita. Ogni maschera siamo noi – noi che scegliamo di indossare quella “maschera” in quel momento per determinate ragioni.

Perché portare una maschera spesso è connesso alla sofferenza?

La sofferenza è molto plausibile se seguiamo il primo presupposto, secondo cui portare una maschera significa nascondere il vero Sè o percepirsi come diversi da ciò pensiamo o vogliamo essere. Si soffre perché l’idea è che non possiamo essere accettati per ciò che siamo o perché a volte scopriamo che non siamo esattamente come immaginavamo. Ma se accettiamo che possiamo essere a volte in un modo e a volte in un altro, prendendo in considerazione i motivi che ci portano a quelle diverse esperienze di noi stessi, forse la sofferenza non sarà più così profonda.

Ad esempio, se solitamente mi vivo, mi penso e mi descrivo come una persona forte, capace di affermare i propri bisogni, ma un giorno al lavoro mi trovo a metterli da parte e ad essere compiacente verso il mio capo, potrei soffrire di questo. La sofferenza sarà connessa da una parte al fatto che sentirò di aver nascosto ciò che penso di essere davvero, dall’altra al fatto che essere compiacente non è coerente con l’idea che ho di me stesso, e forse non mi piace neanche molto come caratteristica. Vedere però l’essere compiacente non come una caratteristica stabile ma come un atteggiamento, un modo di essere legato a una situazione o relazione particolare, ci permette di dare senso a quelle che appaiono come incoerenze, e a vederci anche in modo più ricco e sfumato.

Riuscire a vedere e accettare tutto ciò che possiamo essere – dandogli senso all’interno della nostra esperienza – è una risorsa, perché ci permette di leggere meglio ciò che ci accade e di avere più strumenti per affrontarlo con serenità.

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