L’allenamento emotivo, messo in campo da un genitore nei confronti del figlio, è un processo fondamentale per lo sviluppo dell’intelligenza emotiva.
Quali effetti ha l’allenamento emotivo?
- Migliore salute fisica
- Migliori risultati scolastici
- Rapporti migliori con gli amici
- Minori problemi comportamentali
- Meno reazioni violente
- Minor presenza di sensazioni negative e maggiore presenza di sensazioni positive
- Maggiore capacità di ritrovare la calma dopo aver sperimentato emozioni negative, come tristezza, collera, paura
L’allenamento emotivo non elimina i conflitti, in quanto fanno parte della normalità. Tuttavia permetterà a genitori e figli di creare un rapporto di maggiore vicinanza e fiducia, per cui i genitori non avranno timore di porre limiti quando necessario e di dire quando si sentono delusi o arrabbiati, perché le loro parole avranno un valore per i loro figli.
Come si mette in campo l’allenamento emotivo?
FASE N.1 – Essere consapevoli delle proprie emozioni e di quelle del bambino
Per poter riconoscere e comprendere cosa prova un figlio, i genitori devono prima essere consapevoli delle proprie emozioni.
A volte i genitori possono avere paura delle proprie emozioni e tendono a nasconderle. È importante invece ricordarsi che va bene esprimere anche le proprie emozioni negative, facendolo però in modo costruttivo e non distruttivo. Anche arrabbiarsi può avere un risvolto positivo: mostra ai figli che anche le emozioni intense possono essere espresse e gestite e che il loro comportamento provoca in voi una reazione, dunque vi interessa. L’importante è essere rispettosi, evitando critiche e offese, e ponendo il focus sui comportamenti che provocano in voi delusione o rabbia e non sul carattere di vostro figlio. Inoltre, anche se può capitare di perdere il controllo, si può chiedere scusa, spiegando ai bambini come ci si è sentiti, dando un esempio relativamente alla modalità di gestire i sentimenti di rimorso e dispiacere.
I genitori consapevoli delle proprie emozioni possono usare questa sensibilità per sintonizzarsi sui sentimenti dei figli e mettere in pratica l’allenamento emotivo. Tutti i bambini hanno ragioni precise per le loro emozioni, sebbene spesso non siano in grado di articolarle verbalmente. Può essere utile fare un passo indietro e guardare il quadro che è la loro vita in quel momento. Tra i bambini dai 7 anni in giù, i segnali dei sentimenti vengono rivelati spesso nei giochi di fantasia. Far finta permette ai bambini di sperimentare le emozioni da una posizione di sicurezza. Sintomi di squilibri emozionali nei bambini possono rivelarsi anche in comportamenti come il mangiare troppo o nella perdita di appetito, incubi notturni, accusare dolori di testa o pancia, o riprendere a bagnare il letto. È importante cercare di vedere il mondo dal punto di vista del bambino: i bambini non hanno la nostra stessa esperienza e vivono la vita da un punto di vista più immediato, vulnerabile.
FASE N.2 – Riconoscere nell’emozione un’opportunità di intimità e insegnamento
L’opportunità sta nella crisi. Le esperienze negative possono costituire un’opportunità per empatizzare, costruire intimità con i figli e insegnare loro come padroneggiare i sentimenti. Si può considerare la collera dei bambini come qualcosa di diverso da una sfida alla nostra autorità, la paura come diversa da una prova della nostra incompetenza e la tristezza come una cosa diversa da qualcosa da mettere a posto. Le emozioni negative si dissolvono quando i bambini possono parlarne, dar loro nome e sentirsi compresi. Ha senso quindi riconoscere le emozioni quando sono ancora a un livello basso, prima che deflagrino in crisi aperte. I figli impareranno che i genitori sono alleati e che si può collaborare.
FASE N.3 – Ascoltare con empatia e convalidare i sentimenti del bambino
Gli ascoltatori empatici usano gli occhi per cogliere le prove fisiche dell’emozione del bambino, usano l’immaginazione per vedere la situazione nella sua prospettiva, usano le parole per riflettere, in modo rilassato e non critico, su quel che hanno ascoltato e per aiutare i bambini a dare nome alle loro emozioni, e usano i cuori per sentire quello che i figli sentono. Inoltre, resistono alla tentazione di fornire soluzioni ai problemi dei figli e aiutano i bambini a trovare le loro. Condividere semplici osservazioni spesso è meglio che sottoporre i figli a tante domande. I bambini non sempre sanno rispondere al perché siano tristi o arrabbiati e le domande li metteranno a tacere; è dunque meglio riflettere su quel che noi notiamo in loro (non “perché sei triste?” ma “mi sembri un po’ triste oggi”). Anche raccontare esempi tratti dalla propria vita può essere efficace per comunicare la propria comprensione. Sentendosi compreso, il bambino potrà accettare le spiegazioni rassicuranti del genitore.
FASE N.4 – Aiutare il bambino a trovare le parole per definire le emozioni che prova
Attraverso l’allenamento emotivo si può suggerire ai figli delle parole che li aiutino a trasformare una sensazione amorfa, raccapricciante e sgradevole in qualcosa di definibile e con confini ben precisi. La collera, la tristezza e la paura diventano così esperienze comuni che tutti sono in grado di gestire. Ciò non significa dire ai bambini quello che dovrebbero sentire ma aiutarli a sviluppare un vocabolario con cui esprimere le proprie emozioni.
FASE N.5 – Porre dei limiti, mentre si aiuta il bambino a risolvere il problema
È un processo in 5 fasi:
- Porre dei limiti
Soprattutto con i bambini piccoli, spesso la risoluzione dei problemi inizia con il genitore che pone dei limiti a un comportamento inopportuno. Dopo che il genitore ha riconosciuto l’emozione che sta dietro il comportamento riprovevole e aiuta il bambino a dargli un nome, è necessario che il bambino capisca che certi comportamenti sono inaccettabili e non verranno tollerati. In seguito i genitori potranno aiutare il bambino a pensare a modi più appropriati per padroneggiare i sentimenti negativi. È importante che i bambini capiscano che il problema non è nei sentimenti ma nei comportamenti. Se diciamo a un bambino di smettere di piangere o che non dovrebbe sentirsi come si sente, non farà sparire quello che prova e lo farà perdere fiducia nei sentimenti che prova, lo farà dubitare di se stesso. Se invece gli diciamo che ha ragione a provare quel che prova ma che ci sono modi migliori per esprimerlo, lasciamo intatti la stima di sé e il carattere.
2. Identificare gli obiettivi
Può essere utile fare domande aperte che prevedano risposte aperte: “cosa pensi che ti renda triste oggi? Ti è successo qualcosa oggi?”. Si possono offrire le proprie ipotesi per aiutare il bambino a dare nome alle cose. Arriverà il momento in cui il bambino, capito cosa prova e perché, chiederà come risolvere la situazione. Bisogna dunque chiedere cosa lui vuole ottenere riguardo al problema in questione.
3. Pensare alle possibili soluzioni
Bisogna cooperare con i figli per elaborare delle opzioni che risolvano i problemi. È importante astenersi da un intervento troppo pressante e incoraggiare i bambini a trovare le loro soluzioni. La maggior parte dei bambini sotto i 10 anni non sono granché come pensatori astratti, quindi non appena verrà elaborata una soluzione, cercheranno di metterla in pratica. Si possono quindi sperimentare diverse soluzioni una dopo l’altra e scegliere alla fine qual era la migliore. I giochi di ruolo e di fantasia possono essere un altro modo concreto di mostrare soluzioni alternative ai bambini più piccoli: è utile rappresentare le due versioni di una situazione, quella “giusta” e quella “sbagliata”. Con i più grandi si può favorire il flusso delle idee creative, annotando le opzioni generate.
4. Valutare le soluzioni proposte alla luce dei valori familiari
Una volta generate le idee, bisogna scegliere quali tenere e quali eliminare. Bisogna incoraggiare il figlio a considerare ogni soluzione separatamente, chiedendogli: “è la soluzione giusta? Pensi che funzionerà? È sicura? Come pensi di sentirti dopo?”. Questo permette di rinforzare anche i valori familiari.
5. Aiutare il bambino a scegliere la soluzione
Alla fine bisogna incoraggiare il bambino a scegliere una o più opzioni e metterle alla prova. Si può anche raccontare come noi abbiamo affrontato problemi analoghi quando eravamo giovani. Bisogna però tenere presente che i bambini imparano molto dagli errori. Una volta scelta una soluzione, bisogna aiutare il bambino ad elaborare un piano concreto per proseguire. La soluzione sbagliata aiuta i ragazzi ad analizzare i loro errori. Dopo si può riprendere in mano il problema. Ciò insegnerà ai figli che sbagliare una soluzione non significa che lo sforzo sia un fallimento totale; tutto fa parte del processo di apprendimento.
Bibliografia
Cecatiello, A. – Clerici, C. A. (2016). I miei genitori si dividono. E io? Separarsi e divorziare tutelando se stessi e i figli. Red Edizioni
Gottman, J. – Declaire, J. (2015). Intelligenza emotiva per un figlio. Una guida per i genitori. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
Marcoli, A. (2017). Il bambino arrabbiato. Favole per capire le rabbie infantili. Mondadori